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Giuseppe La Franca, ucciso 25 anni fa dalla mafia, la nipote lo ricorda con una lettera

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Giuseppe La Franca nacque il primo gennaio del 1926, oggi avrebbe 96 anni. Quando La France venne al mondo suo padre era sindaco di Partinico. Un comune – come molti ai tempi – fortemente influenzato da una mafia prevalentemente rurale.

Amava i suoi terreni, dove, comprati nel 1860 dal nonno, suo omonimo, passò l’infanzia giocando fra i braccianti e gli animali della fattoria.

Fu uno dei pochi a frequentare la scuola oltre il primo grado, compagno di liceo ad Alcamo del Monsignor La Rocca, Monsignor Giuseppe Governanti e Monsignor Luigi Bommarito con il quale assieme ad altri compagni di Partinico condivideva ogni giorno il viaggio di andata e ritorno in autobus.

Nel 1951 si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo, un traguardo non da tutti ai tempi. Giuseppe La Franca però non esercitò mai la professione per non scendere a compromessi con nessuno.

“Aveva una stima e una profonda amicizia con i suoi colleghi – racconta ai nostri microfoni Claudio Burgio – a tal punto che quando uno rimaneva indietro con le materie gli posticipavano la laurea per poter concludere il percorso di studi tutti assieme”.

Nonostante fosse dichiaratamente di centrodestra i suoi migliori amici erano tutti provenienti dalla sinistra.

Giuseppe La Franca venne ucciso per una disputa su dei terreni. Dei mafiosi locali avevano messo gli occhi su alcune sue proprietà, che lui non intendeva lasciare.

Più volte si presentava con la Gazzetta da questi criminali, sbattendogliela in faccia e urlandogli contro.

“Il potere di questa famiglia era tale – dice sempre Burgio – da poter corrompere i giudici ed abbassare le pene detentive”.

Senza timore La Franca affrontò sempre questi noti mafiosi a viso aperto, fino a pochi giorni prima che lo uccidessero.

Sabato 4 gennaio del ’97 – dopo aver rifiutato di annullare una denuncia a seguito dell’occupazione di una sua abitazione – venne ucciso.

Nel 2007 ottenne lo status di vittima di mafia, solo dopo 10 anni dalla sua morte.

È stata inoltre inviata dal signor Claudio Burgio una toccante lettera scritta da sua figlia Floriana, che col nonno aveva un rapporto amorevole.

“4 gennaio 1997
Fui io a rispondere al telefono. Avevo solo 7 anni e mio zio semplicemente mi disse: “il nonno ha avuto un incidente con la macchina, passami papà”. Da quel momento l’angoscia di sapere come stesse, prima dello strazio (che torna vivo al solo pensiero) che ha preso il sopravvento quando il giorno seguente mia mamma, seduta accanto a me sul letto, mi ha comunicato che il nonno era diventato una stellina.
Da allora sono trascorsi ben 25 anni durante i quali mio padre si è battuto, non con poche difficoltà, affinché mio nonno venisse riconosciuto vittima di mafia. Tante sono state le manifestazioni organizzate in suo nome, tante le iniziative che hanno coinvolto giovani studenti e autorità. Ho avuto più volte l’occasione di partecipare alle cerimonie di commemorazioni organizzate proprio il 4 gennaio nel luogo in cui è avvenuto l’assassinio. Durante tali cerimonie, ho più volte ascoltato sindaci e altre autorità spendere parole sulla figura di un uomo il cui nome si è aggiunto alla lunga e triste lista di vittime di mafia. Tuttavia, durante suddette cerimonie, non ho potuto non provare tristezza (passatemi il termine) per quelle persone che purtroppo non hanno avuto la stessa mia fortuna: conoscere personalmente proprio quell’uomo che ogni anno viene ricordato con bellissime parole da persone che neanche lontanamente hanno avuto a che fare con lui. E allora, per una volta, vorrei essere io a spendere due parole non su quell’uomo che 25 anni fa venne ucciso dalla mafia ma su mio nonno. Perché prima che morisse, quell’uomo era padre, marito e nonno. Nonostante in 25 anni i dettagli si siano affievoliti nella mia mente, non potrò mai e dico mai dimenticare la purezza della sua anima, la gentilezza dei suoi modi e la pazienza nei confronti di una bambina che all’alba, non appena lo sentiva alzare, lo seguiva per giocare a carte quando tutti in casa dormivano. E i miei genitori non si offenderanno se ricordo quanto amassi trascorrere le mie estati in quella campagna desolata con lui e mia nonna piuttosto che stare in città con loro. E mai scorderò il suo no secco quando l’1 gennaio lo pregai di trascorrere gli ultimi giorni delle mie vacanze natalizie con lui a partitico. Purtroppo, complice l’età, quel no creò in me un certo disappunto. Lui che mi accontentava e mi diceva sempre di sì, non voleva che trascorressi qualche altro giorno con lui e la nonna?! Solo qualche anno dopo, crescendo, presi consapevolezza che già era conscio del destino cui coraggiosamente è andato incontro qualche giorno dopo. Piuttosto che ricordare l’immagine di uomo sdraiato riverso a terra sul ciglio della strada, preferisco lasciare impressa l’immagine di lui che correva nel campo di grano dietro a me che inseguivo un sacchetto. Mi auguro che nessuno veda un’offesa in queste mie parole. Il ruolo delle istituzioni nella lotta alla mafia, quando reale, è fondamentale. Così come fondamentale è trasmettere la storia alle nuove generazioni affinché, consapevoli del passato, siano in grado di continuare il percorso iniziato anni fa con il sacrificio di uomini meravigliosi accanto ai quali sono caduti anche donne e bambini, purtroppo. Tuttavia, prima di essere l’avvocato Giuseppe la Franca vittima di mafia, era mio nonno e in quanto tale voglio continuare a ricordarlo.”

Così si conclude la toccante lettera di Floriana Burgio. Che la lotta alla mafia e il sacrificio di Giuseppe La Franca sia da monito a tutti, per estirpare il prima possibile un male che vessa la Sicilia da ormai troppo tempo.

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